L’Italia del fuori servizio

L’Italia è in crisi. E questo lo sapevamo un po’ tutti. Quello che invece non sapevamo era che i centri commerciali, con i saldi di fine stagione, si riempiono di gente pronta a spendere la tredicesima per accaparrarsi l’abito griffato, il maglioncino viola che sta bene coi jeans e quelle odiosissime sciarpe just cavalli che spuntano appese a mo di cravatta dalla giacche di en gi invernali. Da Napoli a Milano in file kilometriche fuori dagli Outlet, nuova tendenza del consumismo.

L’Italia è in crisi e non c’è lavoro. Chi ce l’ha dice di tenerselo stretto, ma quello che non si dice è che la qualità di quel lavoro è bassissima. Orari impossibili. Pagamenti scarsi o in ritardo. Contratti variegati, misti, impanati.  Stupisce la notizia, sfornata come un panettone natalizio mercoledì dai Tg nazional-popolari,  che ci informa che il tasso di stress e la qualità del lavoro sarà misurata attraverso un intervista che verrà somministrata ai dipendenti. Inutili sondaggi. Idea sprecata.

L’Italì è in crisì, ma il “made in italì” tutto fa; e tutto è fatto rigorosamente a mano. Si, da cinesi, pakistani e kurdi con materiale indiano importato dagli americani e dai giappo. Neanche le vecchie compagnie delle indie furono a suo tempo così abili.

Pull up

Oggi leggo che un ragazzo su sedia a rotelle prova a salire sul bus per recarsi a casa. Ma il conducente gli dice che non può essere trasportato perché l’autobus non è omologato. Bene. Anzi male. L’autista non sarà stato il miglior guidatore del mondo, ma chi glielo fa fare di assumersi la responsabilità di portare un disabile su un mezzo che non ha neanche uno spazio apposito per sedia a rotelle, delle cinture di sicurezza collaudate e una pedana per far salire e scendere il malcapitato. Dar torto all’autista è un errore. Ma chi è dunque il vero responsabile? Difficile a dirsi, più facile scriverlo.

Il premio se lo aggiudicano le Istituzioni in primis, secondariamente tutte le ditte private che lucrano sul servizio al cittadino. Vinci l’appalto perché sei la migliore, ma non funzioni. Via, si cambia. E invece no. Vinci l’appalto (“ci costi poco”), fornisci un servizio che è una merda e prosegui fino a che a qualcuno girano le scatole. Ne parla, si fa sentire. Grida nel deserto. Striscia ne è l’emblema.  Poi tutto riprende a funzionare magicamente.  Per poco.

Le situazioni in cui si incappa sono infinite.  Strade dissestate, lavori perennemente in corso d’opera. Manutenzioni ordinarie che diventano straordinarie.  Sottopassi che si allagano. Cartelli che non segnalano.  E i mezzi pubblici strapieni e mai in orario. Treni affollati, viaggiatori rapiti dai ritardi, controllori che non controllano. Biglietti dai prezzi esorbitanti e sempre in aumento, ma mai all’altezza di un servizio di qualità. Vince la quantità.  Far Spendere nonostante tutto. Incrementare i l prezzo è di moda. Saranno anche 30 centesimi sulla tratta Bologna Centrale- Reggio Emilia, ma paragonata al flusso di persone che incontro sfido chiunque a fare due conti.

Odissea 2011. Fai il biglietto, ci fosse una macchina obliteratrice funzionante. La cerchi come un disperato. Ne vedi una lì all’angolo. La punti. TI avvicini come un rapace per dare un morso al biglietto pagato a peso d’oro. Il led indica: Fuori servizio. Bene. Anzi malissimo. TI giri cercandone un’altra come un rabdomante in cerca d’acqua. Eccola. Laggiù ce ne una. Plani verso il punto giallo preda di ogni pendolare. Fuori servizio. Mavaffanculo va.

Aeroporto. Non cambia la solfa. Vuoi un carrello per i tuoi pesantissimi bagagli. Sei fortunato se riesci ad averli indietro dopo il viaggio. Macchinetta per cambio monete. Do 5 euri, te li cambio in comode monete da uno e due euro. Niente. Una scritta in pennarello indica: Money change. Out of order. E qualcuno ha aggiunto:  forever.

Una gincana di routine. Una sfilata di problemi. Ti devi arrangiare. Sei solo fra i tanti. Possibile? Io, che sono fuori, almeno non sono fuori servizio.

alessandromala